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Entro in aula con l’entusiasmo di chi sta per salvare il mondo, armato di una tazza di caffè che sembra essere la mia unica fonte di energia vitale.
Gli studenti, nel frattempo, cercano di capire se sono nella stanza giusta o se si sono sbagliati edificio.
Poi inizia l’antico rituale dell’appello, pronunciando nomi che sembrano usciti da un romanzo fantasy.
Ogni studente risponde con un “presente” o con un “ci sono” mentre Marco non so perché lancia sempre un grugnito. Un segnale che varia dall’entusiasta al semi-comatoso, a seconda di quanto hanno dormito la notte prima.
Segue il tentativo di far funzionare il proiettore, che ovviamente decide di non collaborare. E allora inizia la lotta con cavi, interruttori e imprecazioni.
Dopo 10 minuti di tentativi, un eroe anonimo (di solito lo studente più tech-savvy della classe) si offre di aiutare e magicamente tutto funziona. Il tempo di riprendermi dalla sconfitta e inizio a parlare, ma dopo circa 5 minuti mi rendo conto che sto usando termini che nessuno capisce.
Decido quindi di semplificare, ma finisco per rendere tutto ancora più confuso.
Nel frattempo, gli studenti dividono il loro tempo tra prendere appunti freneticamente, controllare il telefono e sognare ad occhi aperti.
Cerco quindi di fare la classica “lezione coinvolgente” iniziando a fare domande alla classe, e il silenzio che segue è così denso che si potrebbe tagliare con un coltello. Alla fine, lo studente che ha studiato per sbaglio la notte prima alza timidamente la mano e dà una risposta che sembra uscita da un altro universo.
Arriva una pausa dopo un’ora di lezione.
Gli studenti si riversano fuori dall’aula come se fosse l’ultima scena di “The Walking Dead”, tutti in cerca di caffè e bagni.
La seconda parte della lezione inizia con il sottoscritto che cerca di riprendere il filo del discorso, ma ormai tutti sono troppo distratti dai meme che si stanno condividendo su WhatsApp.
La lezione (se così si può chiamare) si conclude con un annuncio del compito per la prossima volta, suscitando un coro di gemiti e sospiri.
Gli studenti escono dall’aula con l’aria di chi ha appena affrontato una maratona, ma pronti a ripetere tutto il giorno dopo.
E così, un’altra lezione in aula è stata portata a termine con successo, tra risate, confusione e un pizzico (poco) di apprendimento.